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Mèdici, Còsimo de'.

(detto il Vecchio). Uomo politico fiorentino. Figlio di Giovanni di Bicci, fu avviato dal padre al commercio per continuare la tradizione familiare; dedicatosi soprattutto all'attività bancaria, creò intorno a sé un vasto gruppo di mercanti e banchieri che lo sostennero nel suo tentativo di guadagnare il controllo effettivo della vita economica e politica fiorentina. Priore nel 1415 e nel 1417, ambasciatore presso i Visconti di Milano e presso papa Martino V, membro del Consiglio dei Dieci, dopo la morte del padre (1429) si pose alla guida della fazione opposta alla oligarchia, guidata dagli Albizzi. Bandito da Firenze (1433) per iniziativa della parte nobiliare, che lo accusava di mirare al potere sulla città, M. vi poté fare ritorno già l'anno successivo. Esiliati molti dei nemici dei Medici, riuscì a mantenere inalterato il favore del popolo minuto che sperava, con la riforma del catasto da lui voluta, in una diminuzione del carico fiscale. Pur non assumendo ufficialmente il potere, M. fu fino alla morte il vero signore della Repubblica. Abile politico, affidò le cariche più importanti a suoi fedeli; iniziò in Italia una politica d'equilibrio sancita nel 1454 dalla Pace di Lodi (V. LODI, PACE DI), alleandosi prima con Venezia, poi con Milano, ed evitando qualsiasi impegno militare (come in occasione del contrasto che opponeva Aragonesi e Angioni). All'interno promosse una politica, poi proseguita da Lorenzo il Magnifico, volta ad aumentare il prestigio economico di Firenze: favorì l'agricoltura, il commercio, l'industria, le attività finanziarie. Mecenate intelligente, ebbe una parte di rilievo nella fioritura dell'Umanesimo, accogliendo insigni letterati ed artisti (Rinuccini, Alberti, Brunelleschi, Beato Angelico, Ghiberti, Donatello); aprì biblioteche e appoggiò la fondazione dell'Accademia Platonica (Firenze 1389 - Careggi, Firenze 1464).